LEA sociosanitari e sistemi regionali di integrazione sociale e sanitaria

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Welfare Oggi – Fascicolo 5 / 2013

  1. Integrazione sociosanitaria: una, nessuna, centomila…

È ancora attuale la definizione di prestazioni socio-sanitarie data dall’art. 3 septies, co. 1 del D.lgs. 229/99: “tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra azioni di cura e quelle di riabilitazione”.

È anche possibile tracciare un “sentiero”, più o meno coerente, per l’integrazione sociosanitaria dalla Legge 833/78 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale alla Legge 328/00 sugli interventi e sui servizi sociali, anche se troppi anni e troppe trasformazioni nella sanità le distanziano, con l’“aggravante” dell’approvazione della L. Cost. 3/01, di riforma del Titolo V della Costituzione, che ha divaricato le competenze di sanità e sociale tra Governo centrale e Regioni…

Un ulteriore elemento istituzionale di frammentazione è stato l’applicazione disarticolata ed eterogenea (e in molti territori anche discontinua ed incompleta) da parte delle Regioni sia del DPCM 14.02.2001, “Atto di Indirizzo e Coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie” che del successivo DPCM 29.11.2001 con la definizione dei LEA – Livelli Essenziali e uniformi di Assistenza, ed in particolare quelli sociosanitari di cui alla tabella riepilogativa 1.C Area Integrazione Socio-Sanitaria dell’Allegato 1.

In questa prospettiva accostare il titolo di una commedia di Pirandello all’integrazione sociale e sanitaria è, purtroppo, molto appropriato, anche perché diventa difficile recuperare uno schema concettuale unitario complessivo delle reti integrate tra sanità e sociale che si sono sviluppate nei territori del Paese.

I contenuti e i modi dell’integrazione sociale e sanitaria andrebbero declinati in tutte le Regioni tenendo conto di:
– principi generali di riferimento del “modello” di integrazione sociale e sanitaria adottato;
– armonizzazione dei contenuti delle normative regionali con le normative nazionali (comunque da integrare e adeguare);
– ridefinizione e aggiornamento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, sanitarie, sociosanitarie.

Una corretta integrazione sociale e sanitaria dovrebbe garantire almeno due livelli di coerenza:
– tra la “progettualità per la persona” e la “programmazione integrata territoriale”;
– tra la programmazione e la progettazione di servizi, azioni ed interventi sociosanitari e la declinazione dei diversi livelli di integrazione, con le varie dimensioni interconnesse.

In effetti il D.lgs. 229/99 indica che l’integrazione sociosanitaria va attuata e verificata a tre livelli: istituzionale, gestionale e professionale, ma, probabilmente è opportuno (e sempre più necessario) coniugarla con riferimento ad una maggiore articolazione di livelli:
– Istituzionale: riguarda il livello politico-amministrativo per la collaborazione fra istituzioni diverse (ministeri, regioni, aziende sanitarie, amministrazioni comunali…) impegnate nel conseguire comuni obiettivi di salute.
– Territoriale: riguarda principalmente la necessaria omogeneità dei territori dove si erogano le prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali, con particolare riferimento al Distretto Sanitario e all’Ambito Territoriale Sociale (che è auspicabile siano coincidenti).
– Programmatorio: riguarda le modalità di garantire una programmazione sanitaria e sociale unitaria ai diversi livelli territoriali (regionale e locale), favorendo la partecipazione dei diversi portatori di interessi, pubblici e privati, e della cittadinanza.
– Organizzativo: riguarda le forme organizzative che devono essere adottate per assicurare un’equilibrata collaborazione tra i servizi sociali e i servizi sanitari sul territorio, con particolare attenzione al coordinamento e alle modalità di attuazione della programmazione.
– Gestionale: riguarda il governo manageriale di risorse e di servizi da integrare in progetti comuni di intervento e si colloca a livello di struttura operativa sia dell’ambito sanitario che di quello sociale.
– Professionale: riguarda la composizione di saperi e abilità per garantire risposte efficaci, correlata all’adozione di linee guida finalizzate a orientare il lavoro interprofessionale e della gestione dei casi tra operatori della sanità e operatori dei servizi sociali.

In questa fase storica la questione della definizione dei nuovi LEA è all’attenzione del governo centrale, ma riguarda e coinvolge tutti i livelli territoriali di governo, organizzazione e gestione. Va sottolineata l’urgenza e la priorità dei LEA sociosanitari anche per evitare che, essendo prevalentemente quelli relativi alle persone più fragili, e quindi meno ascoltate, siano i più penalizzati con la scusa della crisi economica e i più dequalificati e destrutturati perché già ora i meno consolidati.

La Raccomandazione SIQuAS 2012 “La qualità nell’integrazione tra sociale e sanitario”[1] ha dato un contributo significativo alla conoscenza e alla consapevolezza sulla situazione e sulle prospettive dell’integrazione sociale e sanitaria in Italia. Tra gli obiettivi della raccomandazione c’era quello di rileggere i documenti a disposizione, le esperienze e la letteratura scientifica internazionale, i percorsi sinora realizzati, la normativa nazionale e regionale per evidenziare, in questa moltitudine di atti, gli elementi favorevoli e sfavorevoli; in quella sede uno dei contributi del sottoscritto ha riguardato la proposta di un “modello” di classificazione dell’integrazione sociale e sanitaria nelle Regioni.

  1. Un “modello” di classificazione dell’integrazione sociale e sanitaria nelle Regioni

A cosa può servire un “modello” di classificazione per i “sistemi” di integrazione sociale e sanitaria realizzati nelle Regioni italiane? Certamente andrebbe evitato un esercizio accademico di studio con esclusivo riferimento a schemi teorici o alla sola comparazione delle legislazioni regionali perché sostanzialmente fine a se stesso; mentre potrebbe essere utile (ed è quello che ho cercato di sviluppare) un lavoro di analisi e di confronto che sia basato su alcune ipotesi di ricerca, supportate da riferimenti teorici esplicitati, ma che si estenda alla ricerca di indicatori dell’operatività concreta dell’integrazione sociale e sanitaria.

In questa prospettiva il lavoro di ricerca che ho proposto e realizzato, anche se andrebbe approfondito ed irrobustito con l’individuazione di indicatori stabili e in grado di coprire tutte le dimensioni considerate, può essere utile per:
– individuare gli elementi caratterizzanti l’integrazione sociale e sanitaria nelle diverse Regioni, evidenziando elementi comuni, costanti e diversità, peculiarità;
– comprendere i diversi orientamenti regionali e le operatività effettive sull’integrazione sociale e sanitaria;
– favorire il dialogo ed il confronto sull’integrazione sociale e sanitaria non solo sul piano “teorico”, ma anche operativo;
– cercare di circoscrivere i fattori di successo da riproporre ed i pericoli da evitare per consolidare il processo di integrazione tra sanità e sociale;
– orientare scelte per migliorare l’integrazione sociale e sanitaria sia qualificando un raccordo nazionale assolutamente mancante tra il Ministero delle Politiche Sociali e il Ministero della Salute, ma anche all’interno di quest’ultimo.

  1. L’impianto concettuale di classificazione del “modelli” di integrazione sociale e sanitaria

Come riferimento generale per “leggere” i sistemi regionali dell’integrazione sociale e sanitaria ho ritenuto utile considerare due sue dimensioni costitutive: contenuti e modalità (Ricci, 2011).

La dimensione dei “contenuti” è relativa da un lato a quali prestazioni, attività, interventi, servizi vengono considerati propri dell’integrazione sociale e sanitaria e, dall’altro, al fatto che questi contenuti si riferiscono ad un approccio sistemico, quindi trasversale e complessivo, all’integrazione delle risposte ai bisogni sociali e sanitari o siano relativi ai singoli settori “propri” dell’integrazione sociale e sanitaria (maternità ed infanzia, disabilità, salute mentale, dipendenze patologiche, anziani non autosufficienti, altre fragilità).

La dimensione delle “modalità” riguarda il “come” l’integrazione sociale e sanitaria viene programmata, organizzata, gestita… cioè se si privilegiano procedure strutturali o se si utilizzano criteri funzionali per regolare la relazione tra i servizi sanitari delle Aziende sanitarie ed i servizi sociali dei Comuni.

Nell’analisi di queste due dimensioni assumono particolare rilevanza, e quindi vanno analizzati, altri due aspetti:
– la relazione tra le aree sanitaria, sociosanitaria e sociale, per cogliere come viene garantita la prospettiva indispensabile della continuità assistenziale;
– la declinazione dell’integrazione sociale e sanitaria rispetto ai diversi livelli: Istituzionale, Territoriale, Programmatorio, Organizzativo, Gestionale, Professionale.

In questa logica ho individuato quattro “modelli” di integrazione sociale e sanitaria che non rappresentano tanto “idealtipi” quanto “direttrici” interpretative che prendono spunto anche dalla generalizzazione di esperienze regionali, ma che vanno verificate con riferimento a variabili e indicatori oggettivi, concreti, comparabili.

Nella integrazione “inquadrata” c’è un prevalenza della integrazione per settori di intervento rispetto ad una dimensione unitaria; in genere si sviluppa in sistemi complessi, eterogenei (anche diversi nell’approccio teorico) e determina una integrazione “a scacchi”.

Nell’integrazione “delegata” le competenze socio-sanitarie (e in qualche caso anche quelle “sociali”) sono delegate dai Comuni all’Azienda sanitaria; in casi meno frequenti (e locali) il sociale interviene a compensare interventi carenti della sanità, soprattutto per le fragilità di “confine”.

Nell’integrazione “terza” le prestazioni socio-sanitarie sono organizzate, gestite ed erogate da un soggetto specifico, in qualche modo “terzo” rispetto a Azienda sanitaria e Comune, configurando una linea produttiva specifica, una filiera sociosanitaria.

L’integrazione “pura” è caratterizzata dal mantenimento delle competenze sociali ai Comuni e di quelle sanitarie all’Azienda sanitaria, per cui l’integrazione viene costruita e gestita insieme tra soggetti diversi e distinti, con modalità di collaborazione e connessione più o meno strutturate.

È evidente che l’applicazione di questi “modelli” di integrazione sociale e sanitaria e la declinazione per i diversi livelli individuati comporta vantaggi e difficoltà, rischi e opportunità, soprattutto in riferimento alla “praticabilità” e all’“adeguatezza” rispetto al fine.

Per l’integrazione “inquadrata”, sul versante istituzionale è difficile raccordare e conciliare la unitarietà dell’approccio socio-sanitario con le specificità dei settori di intervento; è caratterizzata dalla prevalenza di programmazioni per settori di intervento rispetto ad una dimensione unitaria, con possibili problemi di coerenza; difficili, sul piano organizzativo, le relazioni tra dirigenti di settore di intervento e dirigenti “di sistema” (ai vari livelli territoriali); rispetto alla gestione, la comunicazione tra i vari settori di intervento può complicare le interconnessioni nei casi “di confine”; sul piano professionale c’è variabilità di collaborazione e sintonia tra le professionalità nei diversi settori di intervento.

L’integrazione “delegata” è caratterizzata da uno squilibrio istituzionale “permanente” tra sanitario e sociale; le buone prassi di integrazione sono determinate prevalentemente dalla disponibilità dei dirigenti dei servizi sanitari e sociali attivi nei diversi territori; c’è una separazione rigida ai diversi livelli territoriali di programmazione o, comunque, una difficile integrazione; la delega organizzativa favorisce l’accentuazione delle disarmonie tra i diversi servizi sanitari e sociali ma facilita l’operatività, ma anche il rischio (sul piano gestionale) di sanitarizzazione degli interventi sociali; la collaborazione professionale è forte nella sanità, ma con gli operatori sociali dei comuni rischia di essere confinata ad attività “marginali”.

L’integrazione “terza” presenta rischi di moltiplicazione dei livelli/luoghi decisionali sul piano istituzionale, mentre si caratterizza per una “modellizzazione” facilmente replicabile ai diversi livelli territoriali; sul versante della programmazione potrebbero presentarsi difficoltà di definizione dei contenuti e delle competenze specifiche del settore socio-sanitario rispetto agli altri e, conseguentemente, a livello organizzativo, c’è il rischio di sovrapposizione di servizi e responsabilità (con possibili conflitti); sempre come incognita, nella gestione, ci potrebbe essere una maggiore attenzione alle specificità e una minore prospettiva olistica; a livello professionale sono facilitate le sintonie per “specializzazione” e qualche difficoltà nella comunicazione/collaborazione multidisciplinare con i servizi esterni alla filiera.

Per l’integrazione “pura” sono necessarie corrispondenze e coerenze istituzionali tra i livelli centrale/regionale e decentrato/territoriale; sul piano territoriale aumentano i rischi di eterogeneità delle risposte (modi e contenuti) per la diversità dei contesti locali; l’omogeneità dell’impostazione facilita il governo ai diversi livelli di programmazione, mentre è difficile perseguire e mantenere un livello sufficientemente definito delle varie forme di organizzazione degli interventi; sul piano gestionale è possibile la compensazione tra i servizi grazie a modelli di relazione agili e flessibili e su quello professionale le sintonie possono essere determinate dalla “obbligatorietà” della ricerca di processi operativi comuni.

  1. Fonti di riferimento e individuazione dei criteri di classificazione

La metodologia della ricerca seguita per verificare l’impianto concettuale di classificazione dei “modelli” di integrazione sociale e sanitaria elaborato è partita dalla letteratura, collegata o collegabile, che spesso è stata anche “fonte” per la individuazione delle 16 variabili considerate (distribuite tra i diversi “livelli”) per stimare le caratteristiche dell’integrazione sociale e sanitaria nelle Regioni. Il calcolo degli indicatori collegati alle variabili e una integrazione/verifica attraverso un questionario ai Presidenti regionali della CARD (Confederazione delle Associazioni Regionali dei direttori di Distretto) hanno permesso di collocare le Regioni stesse in un diagramma cartesiano[2].

L’integrazione organizzativa è una questione che si pone primariamente all’“interno” della sanità (Foglietta, 2010) per almeno due aspetti:
– Integrazione tra le strutture di vertice delle tre macro aree;
– Integrazione verticale (coesione tra vertice strategico, management intermedio, strutture della linea operativa).

Nel collegarsi con il sociale è indispensabile prendere in considerazione il confronto delle normative regionali per l’integrazione sociosanitaria, sia dirette che indirette.

L’analisi puntale dei provvedimenti normativi regionali sull’integrazione tra sanità e sociale (AGENAS, 2012) permette di distinguere le differenze e le costanti rispetto a:
– contenuti,
– indirizzi applicativi,
– assetti istituzionali,
– strumenti di programmazione sociosanitaria,
– responsabilità di spesa,
– rapporto pubblico-privato nell’area sociosanitaria,
– fondo regionale non autosufficienza.

L’integrazione strutturale (a livello di: assessorati, strutture tecnico-amministrative, coincidenza o meno tra Ambiti Territoriali Sociali e Distretti Sanitari) ed il coordinamento delle politiche sono due prime “piste” di ricerca per analizzare i modelli regionali di integrazione socio-sanitaria, ed è stata studiata (Cepiku, Marino, 2007) a partire da alcune variabili:
– livello di integrazione delle politiche sanitarie e sociali,
– rapporto politica/amministrazione,
– innovazioni gestionali,
– rapporti di sussidiarietà (orizzontali e verticali),
– rapporto con i cittadini.

L’aspetto della governance (Boni, 2007) non può essere dimenticato proprio per le connessioni tra pubblico e pubblico (sanità e sociale) e pubblico e privato che caratterizzano tutte le attività e le prestazioni sociosanitarie. In questo senso è necessario correlare gli strumenti di governo utilizzati (quantità e tipologia) con le forme “contrattuali” adottate per la gestione.

Con l’auspicio che possa essere attivata un’indagine specifica sull’integrazione sociale e sanitaria (svolta magari congiuntamente tra Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e Ministero della Salute), un utile contributo alla conoscenza della situazione reale nelle Regioni è dato dall’indagine sui Distretti Sanitari dell’AGENAS (AA.VV. 2011) che permette di conoscere le caratteristiche generali del distretto (contesto territoriale, dimensioni organizzative) con riferimenti diretti alla programmazione e alla integrazione sociosanitaria nel Distretto.

Alcuni testi di supporto all’indagine sono utili anche per impostare correttamente una modellizzazione dei “sistemi” regionali di integrazione sociale e sanitaria, con riferimento:
– da un lato alle interdipendenze nei sistemi sanitari (da risorse, nei processi di cura, nelle specializzazioni e nelle vocazioni, nell’acquisizione di fattori produttivi, cognitive, informative) e alla loro possibile organizzazione;
– dall’altro agli strumenti di integrazione per costruire e gestire reti nei distretti socio-sanitari (integrazione delle strategie e politiche aziendali, integrazioni operativo-organizzative, unitarietà diagnostico-assistenziale, unitarietà del percorso di fruizione).

Altri studi (Pavolini, 2007) permettono di avere quadri comparati su alcune caratteristiche dell’integrazione socio-sanitaria in diversi Servizi Sanitari Regionali, con elementi utili alla “misurazione” delle differenze:
– attori coinvolti nella programmazione, 
– ruolo associazioni utenti nella programmazione, 
– continuità assistenziale,
– fondo per la non autosufficienza,
– caratteristiche complessive e punti di debolezza.

  1. La verifica operativa della classificazione dei “sistemi” regionali di integrazione sociale e sanitaria

Le due dimensioni generali dell’integrazione sociale e sanitaria considerate (contenuti e modalità) variano, ognuna, lungo un asse con due polarità:

  • Contenuti: sistemica vs settoriale
  • Modalità: strutturale vs funzionale

Rispetto alle possibili declinazioni dell’integrazione sociale e sanitaria (Istituzionale, Territoriale, Programmatoria, Organizzativa, Gestionale, Professionale), dalla letteratura consultata sono state individuate 16 variabili, compatibilmente con la possibilità di avere le informazioni per ogni Regione, 8 per ogni asse.

Sulla base dei due assi individuati e della polarizzazione definita si determina un sistema di assi cartesiani in cui i quadranti delineano quattro “tipologie/classificazioni” dei modelli regionali di integrazione sociale e sanitaria.

L’applicazione del “modello” costruito, relativo alle variabili individuate e ai valori calcolati degli indicatori ha determinato la “mappa” seguente.

Due indicazioni generali emergono da una prima lettura:

  • si conferma che non si possono identificare “modelli” regionali, ma aree “omogenee”, cioè gruppi di Regioni che si trovano in uno stesso “quadrante” anche per “combinazioni” differenti delle variabili considerate. Le collocazioni vanno interpretate.
  • si rileva come alcune Regioni hanno alcune caratteristiche tipiche di una delle categorie concettuali individuate, ma complessivamente si collocano in un altro quadrante.

Ovviamente ognuno può leggere ed interpretare la “mappa”, arricchendola con le proprie conoscenze ed esperienze; commenti preliminari, da approfondire, possono essere così sintetizzati:
– La maggior parte delle Regioni si concentra nella sezione dell’integrazione sociale e sanitaria etichettata come “inquadrata”, cioè caratterizzata da una modalità “funzionale” e da contenuti “settoriali”… i livelli più “leggeri” si colgono, rispettivamente, per il Lazio e per la provincia di Bolzano.
– Il gruppo più “omogeneo” è quello dell’integrazione sociale e sanitaria caratterizzata da una modalità strutturale per settori (con riferimento ai contenuti), anche se probabilmente, le variabili che si è potuto utilizzare non discriminano sufficientemente le differenza tra modalità “settoriali” (17 realtà territoriali) e “sistemiche” (solo 5).
– Il settore con i contenuti più “sistematizzati” e le modalità più “strutturate” dell’integrazione sociale e sanitaria contiene quattro Regioni di cui una potrebbe apparire come collocazione “anomala” (Campania), probabilmente determinata dalle componenti normative, formali; le altre (Toscana, Emilia-Romagna, Lombardia) esprimono tre “modelli” diversi di fare integrazione sociale e sanitaria accomunati da queste caratteristiche di “consolidamento”.

Tenendo conto dalla “scarsità” di informazioni comparabili rispetto alle molteplici dimensioni dell’integrazione sociale e sanitaria che sono state utilizzabili nella verifica operativa, potrebbe essere utile proporre un “nuovo” schema interpretativo, corretto sulla base dei dati e delle informazioni raccolte, che non stravolge la griglia precedente, ma ne rappresenta un “aggiustamento” in itinere:

 Per continuare e approfondire la conoscenza di come è pensata e agita l’integrazione sociale e sanitaria nelle Regioni servono più informazioni, e non solo… perché, purtroppo, la situazione generale non favorisce lo studio sistematico, finalizzato al miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi integrati sociali e sanitari, e quindi bisogna augurarsi che nei prossimi anni “ci sia ancora” l’integrazione sociale e sanitaria, cioè “qualcosa” con un approccio globale alla salute, che tenga insieme le tematiche, le politiche, i servizi e le azioni.

L’obiettivo ultimo di questo contributo era, ed è, proprio quello di mantenere alta l’attenzione su una tematica complessa e delicata come quella dell’integrazione sociale e sanitaria.

 

 

Bibliografia

AA.VV., Raccomandazione SIQuAS 2012 “La qualità nell’integrazione tra sociale e sanitario”, SiQuAS, Torino, 2012
AA.VV., La rete dei Distretti sanitari in Italia, Quaderno di Monitor n.8, AGENAS, Roma, 2011
AGENAS, Allegati normativi sull’integrazione socio-sanitaria per la costruzione della Raccomandazione SIQuAS “La qualità della integrazione tra sanità e sociale”, 2012
Boni S. (a cura di), I sistemi di Governance dei Servizi Sanitari Regionali, Formez – Quaderno 57, Roma, 2007
Foglietta F., L’integrazione socio-sanitaria: ordinamenti e modelli regionali, Edizioni Panorama della Sanità, Roma, 2010
Cepiku D., Marino A., I modelli regionali di integrazione socio-sanitaria: un’indagine empirica, in Rapporto CEIS – Sanità, Roma, 2007
Pavolini E., Nuovi bisogni di salute e servizi alla persona: governance, organizzazioni, professioni e cittadini nell’integrazione socio-sanitaria, relazione a Seminario Progetto PRIN 2007, Ancona 8 aprile 2011
Ricci S., Una interpretazione di “modelli” e scenari per l’integrazione sociale e sanitaria, Lezioni a Master in Management e Innovazione nelle Aziende Sanitarie (MIAS), Università La Sapienza, Roma, 2011

 

[1] È possibile scaricare la prima “release” della Raccomandazione con gli allegati dal sito http://www.osservatoriosanita.it

[2] Per approfondire la metodologia utilizzata (variabili individuate, calcolo degli indicatori, pesatura e valutazione, dati disponibili…) far riferimento all’Allegato 3 – Un “modello” di classificazione dell’integrazione sociale e sanitaria nelle Regioni del Capitolo 2 della Raccomandazione.

LEA sociosanitari e sistemi regionali di integrazione sociale e sanitaria
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